Per anni le persone hanno immaginato il ritiro di Roger Federer, pregandolo di ritirarsi prima che la magia svanisse. Forse perché Federer era una parte di noi, della nostra storia, e avremmo preferito lasciar andare quel pezzo prima di vederlo invecchiare. Anche solo per non vedere sporcata la sua immagine incorruttibile. L’amore per Federer, però, non nasce solo dai suoi successi e dal suo tennis impossibile, ma anche da come ha conciliato questa perfezione con una fallibilità che non ha nulla di divino, ed è completamente umana. Le sue prestazioni belle e perdenti,le sue lacrime, sempre generose dopo vittorie e soprattutto le sconfitte. Federer tennista è stato l’esperienza religiosa descritta da Foster Wallace ma, soprattutto negli ultimi anni, anche l’imperfezione che appartiene agli esseri umani. È stato l’una e l’altra cosa.
La tristezza delle prime ore dopo il ritiro è legata alla nostra consapevolezza del tempo che passa, o all’idea che Federer si sia ritirato insieme a un grosso pezzo del tennis, per il difetto percettivo per cui molti di noi non hanno mai visto e conosciuto un tennis senza di lui. È stato anche il nostro privilegio.
Federer è, ed è sempre stato, più reale di quanto siamo disposti ad accettare. Non esiste nessun finale perfetto, ma rimane ancora l’eco di questo amore che non finirà mai.
Emanuele Atturo